L’evasione fiscale non esiste in campagna elettorale. Non ne parlano né Matteo Renzi, né il premier Paolo Gentiloni, né Luigi Di Maio o Giorgia Meloni. Non prova imbarazzo neppure il leader della Lega, Matteo Salvini, che ha stretto un’alleanza con Silvio Berlusconi, uno dei pochi italiani condannati con sentenza definitiva per frode fiscale: quattro anni di reclusione, nel 2013, pena convertita in un breve periodo di assistenza ai servizi sociali.
Eppure l’Italia è uno dei paesi con la più alta evasione fiscale del mondo. Secondo un ostudio della Ue siamo i primi in Europa per evasione dell’Iva, una delle tasse più evase nel mondo. Secondo i dati del ministero dell’Economia (Mef), sono stime indicate in una relazione ufficiale che viene allegata ai documenti di bilancio presentati al Parlamento (la Nota di aggiornamento del Def, il Documento di economia e finanza), l’evasione fiscale si aggira in media sui 108 miliardi di euro all’anno. E’ il cosiddetto “tax gap”. Questa è la media delle tasse evase ogni anno dal 2012 al 2014, secondo il Mef.
Ex premier. Matteo Renzi, segretario del Pd
Si tratta di soldi veri sottratti alle casse dello Stato: ogni anno 108 miliardi in meno di entrate che, da sole, rappresentano poco meno dell’ intera spesa sanitaria pubblica o una somma abbondantemente superiore alla spesa sostenuta dallo Stato per pagare gli interessi sull’ingente debito pubblico, che costa quasi 70 miliardi all’anno (nel 2017).
“L’elusione e l’evasione fiscale privano i servizi pubblici come il nostro servizio sanitario di decine di miliardi all’anno”. Queste parole, semplici e chiare, non escono dalla bocca di uno dei nostri “leader” (o almeno presunti tali). Le ha pronunciate pochi giorni fa Jeremy Corbyn, il leader del partito laburista, il capo dell’opposizione in Gran Bretagna.
In Italia, invece, durante la campagna elettorale di evasione non si parla. Piuttosto si preferisce parlare di riduzioni di tasse, come fanno Salvini e Berlusconi con le immaginifiche proposte di tasse ad aliquota unica (Flat tax) al 15% (Salvini) o 23% (Berlusconi). Le loro promesse, se realizzate, avrebbero due effetti: manderebbero a picco il bilancio dello Stato perché non c’è copertura per coprire il buco nelle entrate che ne deriverebbe (almeno 75 miliardi all’anno nella proposta della Lega, più di 100 miliardi in questa e altre promesse di Berlusconi) e regalerebbero il beneficio maggiore ai contribuenti più ricchi.
Negli ultimi anni i vari governi si sono vantati di aver aumentato ogni anno le somme recuperate nella lotta anti-evasione. L’agenzia delle Entrate ha detto una settimana fa che nel 2017 ha recuperato 20,1 miliardi nella lotta all’evasione. Ma non tutti questi soldi sono derivano effettivamente dalla lotta all’evasione: ci sono 6,5 miliardi incassati con la rottamazione delle cartelle esattoriali, un’entrata straordinaria una tantum, ottenuta con una sorta di condono. E anche la somma residua in parte non è frutto di autentico recupero di somme evase.
Nel 2016 le entrate dichiarate dalla lotta all’evasione erano 19 miliardi, ma anche allora c’era stata un’operazione straordinaria, circa 4,1 miliardi ottenuti dalla “voluntary disclosure”, cioè la tassa sul rientro dei capitali dall’estero. Anche quello una sorta di condono che ha aiutato gli evasori. Se si depurano le entrate da queste voci, ne deriva che nel 2017 l’incasso ordinario è pari a 14,6 miliardi, nel 2016 14,9 miliardi, nel 2015 14,9 miliardi, nel 2014 14,2 miliardi.
Insomma, l’anno scorso gli incassi dalla lotta all’evasione sono tornati indietro di due-tre anni, non è vero che c’è stato un progresso. Intanto, ogni anno lo Stato continua a perdere circa 108 miliardi in media di tasse evase e non pagate. Ma i nostri politici in campagna elettorale non parlano di evasione. Nel film pre-elettorale l’evasione dunque non esiste. Come ai tempi del fascismo, tutti i treni arrivano in orario.