C’è un nuovo azionista al Fatto Quotidiano. Loris Mazzetti, giornalista, regista e storico collaboratore di Enzo Biagi, è diventato azionista della società editrice del quotidiano diretto da Marco Travaglio. Che, intanto, sta discutendo una risoluzione dei rapporti azionari incrociati con la società di Michele Santoro, Zerostudio’s.
Mazzetti si è presentato all’assemblea dei soci che il 23 maggio scorso ha approvato il bilancio 2016, secondo quanto ha appreso Poteri Deboli. Risulta titolare di una piccola quota, lo 0,24% del capitale. Mazzetti ha ricevuto il pacchetto di azioni da Francesco Aliberti, socio dell’Editoriale Il Fatto dalla fondazione. Aliberti è editore di diversi libri scritti da Mazzetti, tra cui “Sono venuto per servire”, con Don Andrea Gallo, del 2010.
Aliberti paga i diritti d’autore in azioni
La cessione delle azioni è avvenuta per saldare rapporti economici tra Aliberti e Mazzetti, ci hanno confermato entrambi, in sostanza il pagamento di diritti d’autore dovuti dall’editore, per una somma intorno ai 50-60.000 euro. Aliberti ha progressivamente ridotto la partecipazione nel Fatto perché aveva bisogno di fare cassa. In origine deteneva il 16,26%, la quota massima dei soci-fondatori. Questa percentuale è posseduta tuttora dall’ex direttore del quotidiano Antonio Padellaro (ora presidente) e dall’amministratore delegato, Cinzia Monteverdi. Adesso la partecipazione di Aliberti è scesa al 7,3% del capitale.
Via da Daria Bignardi
Mazzetti, che è capostruttura Rai e fa parte della direzione editoriale dopo essere stato capostruttura di Rai 3 (“me ne sono andato da Rai 3 dopo l’arrivo di Daria Bignardi”, dice), è stato regista di numerosi programmi tv, tra cui “Il Fatto” di Enzo Biagi. E come tale è stato “portatore della testata del quotidiano, che si sarebbe potuto chiamare Il Fatto di Enzo Biagi, ma l’ufficio legale della Rai non diede l’autorizzazione”, ricorda. “Sono stato uno degli ideatori della nascita del Fatto, però non entrai tra i soci, perché ero dirigente della Rai, non sarebbe stato compatibile”.
“Quando Aliberti mi ha fatto questa proposta ho accettato _ dice Mazzetti _ perché essere azionista del Fatto, al di là del valore economico, per me ha un valore sentimentale. E’ un giornale che ho visto nascere. Rappresenta una fetta della mia storia. E avere un pezzettino, avere un bottone di questo vestito mi rende felice.” Lo statuto del Fatto prevede un diritto di prelazione per gli altri soci se un azionista vuole vendere. A quanto pare, nessuno ha fatto obiezioni all’ingresso del nuovo socio. “Prima di fare l’operazione con Aliberti _ osserva Mazzetti _ ho avuto il nulla osta di tutti gli altri soci. Tengo questo pacchetto nel cuore, come terrò e non le venderò mai le quote di Rai Way, che ho preso quando la società si posizionò in Borsa”.
Su gli utili, ma vendite del giornale in calo
Essere soci del Fatto, oltre all’aspetto sentimentale menzionato dallo storico collaboratore di Biagi, comporta soddisfazioni economiche. Anche il bilancio dell’ottavo esercizio sociale si è chiuso con un risultato positivo, in controtendenza nel panorama dell’editoria ritmato da bilanci in rosso e perdita di posti di lavoro. L’assemblea dei soci ha deciso il ritorno al pagamento di un piccolo dividendo. Le vendite di copie del giornale però sono diminuite.
Secondo la relazione sulla gestione dell’esercizio 2016, firmata dal presidente Padellaro e dall’a.d. Monteverdi, “la media giornaliera delle copie vendute in edicola per l’edizione del quotidiano” da martedì a domenica “è stata di 36.239 con un calo del 5,8% rispetto al 2015. La media giornaliera delle vendite in edicola _ aggiunge la relazione _ ha comunque superato il budget previsto. Il calo preventivato prudenzialmente dal budget era circa del 12%. Il numero del lunedì ha registrato la media di 28.530 copie con un aumento del 9% rispetto al 2015″.
La relazione sulla gestione dice che “sul risultato di esercizio, oltre alle vendite del giornale (…), ha inciso la produzione libri Paper First”, prima mossa di una diversificazione delle attività che proseguirà con la televisione. Tra i libri di successo l’anno scorso c’è stato “Perché no”, di Marco Travaglio e Silvia Truzzi, sul referendum costituzionale. Travaglio, come altri autori, attraverso il nuovo canale ha lasciato la casa editrice Chiare Lettere, che è azionista del Fatto e non gioisce per questo.
Perché no. Marco Travaglio, direttore del Fatto Quotidiano
Salgono i ricavi
Nel 2016 i ricavi (valore della produzione) dell’Editoriale Il Fatto sono aumentati di 1,14 milioni rispetto al 2015 e ammontano a 26,27 milioni. L’utile netto è salito a 439.583 euro, in ripresa dopo i 242.132 euro del 2015 e i 186.759 del 2014. Certo, si tratta di un risultato lontano dall’utile di 1,216 milioni del 2013.
Nei costi di produzione si segnala un aumento di 833.000 euro, soprattutto per il personale. I costi del personale sono aumentati da 8,06 a 8,6 milioni. Inoltre tra i costi per l’acquisto di servizi ci sono 1,043 milioni per “giornalisti” (988mila nel 2015) e 738mila per “collaboratori” (in calo di 226mila euro rispetto al 2015). Se si considera il numero medio dei dipendenti durante il 2016, i giornalisti sono aumentati da 66 a 70 (di cui gli art. 1 da 49 a 52), gli impiegati sono diminuiti da 32 a 28, mentre il totale è invariato a 98 dipendenti.
Ritorna il dividendo
L’assemblea degli azionisti ha deciso a sorpresa la distribuzione di un dividendo. Il consiglio di amministrazione aveva proposto di accantonare tutto l’utile a riserva, per rafforzare il patrimonio della società. All’assemblea invece, si legge nel verbale, “tutti i soci non giornalisti chiedono di verificare la possibilità di procedere con una distribuzione parziale dell’utile netto, nella misura che sia consentita dai piani aziendali e senza che questi possano venirne compromessi”. Quindi su proposta dell’a.d. Cinzia Monteverdi l’assemblea, con il voto favorevole di tutti i soci presenti, ha approvato la distribuzione come dividendo di metà dell’utile netto, cioè 219.791 euro. Secondo il verbale era assente solo il socio Grafica Veneta (4% del capitale), che fa capo all’imprenditore Fabio Franceschi ed è lo stampatore dei libri del Fatto.
Diversificazione. Cinzia Monteverdi, amministratore delegato e azionista dell’Editoriale Il Fatto
Quella voglia di monetizzare
Oltre all’arrivo di Mazzetti, c’è movimento nell’azionariato del Fatto. Il riassetto cominciato alcuni anni fa è proseguito l’anno scorso. Alcuni soci hanno venduto parte delle loro quote alla società editrice. Come vedremo, hanno monetizzato l’investimento in parallelo con l’operazione che ha portato all’ingresso di Zerostudio’s, la società di produzione televisiva e multimediale di cui è azionista di maggioranza Michele Santoro.
La valutazione di Matteo Arpe
L’operazione è stata fatta sulla base di una “valutazione interna” che ha assegnato al capitale dell’Editoriale Il Fatto un valore di 12,5 milioni di euro, spiega l’a.d. Cinzia Monteverdi. Il vertice della società considera questa valutazione “inferiore all’effettivo valore di mercato esterno, che una valutazione affidata a Matteo Arpe un anno e mezzo fa aveva stimato da un minimo di 15 milioni a un livello tra 18 e 20 milioni”. Così Il Fatto ha acquistato 2,25 milioni di azioni proprie, di categoria A (sono i titoli sottoscritti da non giornalisti), pari al 9% del proprio capitale, per un corrispettivo totale di 1,125 milioni di euro. Queste azioni sono tuttora in portafoglio, risulta dall’ultima assemblea dei soci.
L’incrocio azionario con Michele Santoro
Zerostudio’s ha comprato circa il 7% del capitale del Fatto con un esborso pari a 875.000 euro, secondo il bilancio della società. Contemporaneamente Il Fatto, attraverso un aumento di capitale, con un esborso di 915.000 euro, ha incrementato la partecipazione in Zerostudio’s dal 30,07% al 46,48%, mentre la società di Santoro è stata trasformata da Srl in Spa. Pertanto, considerando l’investimento già fatto anni addietro, la spesa complessiva sostenuta dal Fatto per acquisire il 46,48% di Zerostudio’s è salita a complessivi 1,483 milioni di euro, si legge nel bilancio.
Rapporto difficile. Michele Santoro ha chiesto una distinzione tra le posizioni del Fatto e il M5S
L’incrocio azionario era stato fatto con l’obiettivo di uno sviluppo multimediale del quotidiano diretto da Travaglio, anche con una televisione, sotto l’egida di Santoro. Però, a parte la collaborazione con l’inserto settimanale,”Buono”, dedicato ai ristoranti che piacciono agli chef, i progetti comuni non si sono sviluppati. Il dialogo si è interrotto.
La divergenza è esplosa a ridosso del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016. Santoro ha chiesto “più distinzione tra la descrizione della realtà e le posizioni politiche, comprese quelle vicine al Movimento 5 Stelle”. In un’intervista al Foglio, a fine novembre, Santoro ha detto su Marco Travaglio: “C’è di sicuro una corrispondenza tra lui e il Movimento. Non so quanto organica. ma c’è”
I due gruppi, Il Fatto e Zerostudio’s, ora stanno negoziando uno scioglimento delle partecipazioni congiunte.”Abbiamo fatto queste partecipazioni incrociate con l’intenzione di avviare un progetto comune. Se questo progetto comune non c’è più, se non condividiamo più un progetto, le partecipazioni vanno risolte”, spiega Cinzia Monteverdi. Ne state discutendo? “Assolutamente sì”, risponde l’a.d. del Fatto.
Liquidità per 8,6 milioni
Le condizioni finanziarie del Fatto sono floride. Secondo il bilancio, a fine 2016 c’erano disponibilità liquide e depositi bancari per 4,88 milioni (rispetto a 1,28 milioni a fine 2015) e investimenti finanziari pari a 3,72 milioni (5,65 milioni nel 2015), tutti in obbligazioni bancarie della Bcc Roma. In totale “la liquidità, compresi gli investimenti finanziari, è pari a 8,6” milioni, dice il bilancio, aumentata rispetto ai 6,93 milioni dell’anno precedente.
Un bel tesoretto sia per gli investimenti sia per gli azionisti. Nel libro soci del Fatto al primo posto ci sono Antonio Padellaro e Cinzia Monteverdi con il 16,26% ciascuno. Quindi c’è Chiare Lettere, che ha ridotto la quota dal 16,26% originario all’11,34%; allo stesso livello si colloca il gruppo di soci marchigiani raccolti nella Edima Srl, guidati dall’imprenditore delle scarpe Enrico Paniccia. Oltre agli azionisti già citati, c’è un pacchetto dell’1% intestato a Fernando Ricci, esponente della famiglia Aliberti. Con il riassetto avvenuto nel 2016 hanno ridotto le quote azionarie Chiare Lettere, Edima, Tinti e Aliberti.
Chi riceve il dividendo più alto
Poi ci sono i soci giornalisti. Oltre a Padellaro sono Travaglio (4,88%), Peter Gomez (3,25%), l’ex magistrato Bruno Tinti (5,6%), Marco Lillo (2,44%).
Lo statuto assegna alle azioni dei soci giornalisti, di categoria B, un dividendo superiore del 15% ai titoli di categoria A. Pertanto l’assemblea ha assegnato un dividendo lordo di 0,0105 euro ad ogni azione di categoria B e di 0,0091 euro a quelle di categoria A.
In base al possesso azionario, Poteri Deboli ha calcolato che il socio che ha ricevuto il dividendo più alto è Padellaro, cui spetta una cedola lorda di 42.683 euro e, al netto dell’imposta del 26%, di 31.585 euro. Anche l’ultimo entrato, Mazzetti, ha avuto diritto al dividendo, il più basso di tutti: 630 euro che, dedotte le imposte, si riducono a 466 euro e 20 centesimi.
A breve nell’azionariato del Fatto ci saranno altre importanti novità, come Poteri Deboli vi racconterà nel prossimo articolo.