“La nuova Alitalia? E’ lo stesso vecchio cane con addosso un nuovo cappotto”. Così si esprimeva nel febbraio 2009 Michael O’Leary, spavaldo e astuto amministratore delegato di Ryanair, la regina delle low cost europee diventata una delle maggiori compagnie del mondo per numero di passeggeri.
O’Leary parlava della Cai dei “patrioti”, chiamati a raccolta l’anno precedente da Silvio Berlusconi, insieme a Corrado Passera, a formare una cordata italiana per stoppare l’offerta di Air France-Klm su Alitalia, assecondata dal governo Prodi. I Capitani coraggiosi guidati da Roberto Colaninno e banca Intesa Sanpaolo, come sappiamo, si sono schiantati in soli sei anni, con risultati economici e industriali addirittura peggiori di quelli, pur disastrosi, accumulati dall’Alitalia sotto la mano pubblica. E questo malgrado i nuovi proprietari privati avessero ottenuto condizioni di favore quando Alitalia fu loro venduta (in realtà svenduta) dalla gestione del commissario Augusto Fantozzi.
Insomma, i privati hanno fatto peggio dello Stato. Tra loro c’era anche _ e nel libro soci di Cai c’è ancora _ l’allora presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia, con una quota di dieci milioni di euro, oggi interamente svalutata.
Ryanair adesso è tra i vettori che hanno manifestato interesse nella procedura di dismissione dell’Alitalia avviata di nuovo da una gestione commissariale, guidata da Luigi Gubitosi. Un manager esperto di finanza e con molte relazioni nel milieu politico-economico, che però non si è mai occupato di trasporto aereo.
Ryanair non mira a comprare Alitalia o sue parti. Il vettore irlandese, a quanto si sa, si propone per alimentare con i propri voli in Europa i voli intercontinentali di Alitalia. In sostanza Ryanair è interessata a sostituire tutta l’attività di Alitalia nei voli nazionali e all’interno dell’Europa. Del resto già nel dicembre scorso O’Leary aveva incontrato l’allora a.d. di Alitalia, l’australiano Cramer Ball, proponendogli di fare il feederaggio sulle rotte europee a un prezzo di 40 euro a passeggero per tratta. L’offerta fu rigettata, forse anche per l’impatto devastante che avrebbe avuto sui posti di lavoro di Alitalia. Ma all’interno di Alitalia, e tra i suoi consulenti, c’era chi la riteneva una ricetta realistica, anche se dolorosa, per salvare il carrozzone.
La compagnia con base in Irlanda ha presentato un nuovo bilancio record per l’esercizio finanziario terminato il 31 marzo 2017. Ryanair ha aumentato del 13% i passeggeri a 120 milioni e i ricavi del 2% a 6,648 miliardi di euro (un po’ più del doppio dei ricavi dell’Alitalia). Gli utili netti sono stratosferici, sono aumentati del 6% a 1,31 miliardi, sono pari al 20% dei ricavi. Il biglietto medio di un volo Ryanair, dice la compagnia, è stato venduto a 41 euro, il 13% in meno dell’anno precedente.
Adesso tuttavia nel futuro della compagnia irlandese si stagliano alcune nuvole, malgrado la spavalderia sempre ostentata da O’Leary. Le nuvole si chiamano Brexit. La decisione della Gran Bretagna di uscire dall’Unione europea avrà conseguenze rilevanti nel trasporto aereo.
Nell’Unione europea infatti vige un’ampia liberalizzazione, in base alla quale ogni compagnia comunitaria può collegare liberamente due città non solo dello Stato in cui è basata, o una del proprio Stato e una di un altro, ma anche due città di Stati diversi da quello di appartenenza. Per le compagnie non comunitarie questa libertà è preclusa, possono fare voli solo tra il loro Stato e un paese dell’Ue con il quale ci sia un accordo bilaterale.
E’ sfruttando queste possibilità che si sono affermate le low cost. Del resto sia Ryanair, sia easyJet, sia Vueling, le tre low cost più presenti in Italia, fanno anche voli nazionali o collegamenti tra l’Italia e uno Stato diverso da quello in cui sono basate.
Una compagnia è considerata comunitaria se è basata in uno Stato dell’Ue e se i suoi soci sono in maggioranza (il 50,1% del capitale) soggetti comunitari. Oltre alla proprietà anche il controllo effettivo deve essere in capo a soggetti comunitari. Cioè se un socio di minoranza avesse poteri più forti di quelli di maggioranza e questo non fosse un soggetto comunitario la compagnia perderebbe lo status Ue e di conseguenza i diritti di traffico.
Ryanair è irlandese, ha sede a Dublino, quindi è basata in uno Stato dell’Ue. Il suo azionariato è al 60% composto da soggetti comunitari, secondo gli ultimi dati disponibili. Però una volta che la Gran Bretagna sia fuori dall’Ue, poiché c’è una quota del 20% del capitale in mano a soci britannici, ecco che la presenza di soci comunitari si ridurrebbe al 40 per cento. A quel punto pertanto Ryanair non potrebbe più essere considerata una compagnia comunitaria.
Lo stesso accadrebbe a easyJet, che oggi è britannica e già questo la metterebbe fuori dalla Ue. Il suo azionariato è composto all’84% da soggetti Ue, ma questa quota si ridurrebbe al 49% escludendo i soci basati in Gran Bretagna. Un analogo problema lo avrebbe il gruppo Iag (International Airlines Group), la casa madre anglospagnola che controlla British Airways, Iberia, Vueling, Aer Lingus.
Questi problemi sono stati messi in evidenza anche in un convegno internazionale organizzato il 9 giugno dalla Luiss “School of law”, su iniziativa dell’avvocato Laura Pierallini, docente alla Luiss e tra i maggiori esperti, non solo in Italia, di diritto del trasporto aereo. Il tema trattato è “The impact of Brexit on aviation”. Numerosi esperti stranieri, tra cui gli avvocati inglesi John Balfour e Mark Bisset, hanno sottolineato i problemi che hanno davanti le compagnie britanniche e Ryanair. Anche il direttore generale dell’Enac, Alessio Quaranta, ammette che il problema esiste, pur ritenendo che non si possa realisticamente arrivare a uno stop improvviso dei voli in Italia di una Ryanair o easyJet. Ma non ha detto come questo potrà essere evitato.
Dopo l’esito delle elezioni britanniche nelle quali i conservatori non hanno ottenuto la maggioranza in Parlamento, è da vedere cosa accadrà veramente a Londra. Il processo di uscita dalla Brexit però è stato avviato da Theresa May e dovrà concludersi entro il 29 marzo 2019. E’ possibile che, come in altri settori dell’economia, nel trasporto aereo venga raggiunto un accordo tra la Gran Bretagna e gli altri 27 Stati Ue per regolare la nuova situazione.
E’ quello che vorrebbero le compagnie britanniche per non essere considerate extracomunitarie, perché una simile eventualità farebbe loro perdere molti diritti di volo e molto traffico. Non basterebbe richiedere un certificato di operatore aeronautico (Coa) in un altro paese Ue, come sta facendo easyJet, perché abbiamo visto c’è anche il problema della nazionalità degli azionisti di maggioranza.
Ci potrebbe essere una graduale sostituzione di soci britannici con altri comunitari, una via che si sta già studiando, ma non è scontato che questo avvenga. Ci sono anche altri problemi. Per esempio nel gruppo Iag circa il 20% è posseduto dal Qatar, un Paese che ora è in forte difficoltà, è stato isolato da Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Bahrein perché accusato di sostenere i terroristi.
C’è da attendersi che nel negoziato con la Gran Bretagna per un ipotetico nuovo accordo sull’aviazione gli interessi di Germania (Lufthansa) e Francia (Air France-Klm) si faranno sentire. Questi paesi non sono teneri con le low cost britanniche e irlandesi. L’a.d. di Lufthansa, Carsten Spohr, ha chiarito subito che nessuno può aspettarsi di fare un accordo con il quale si faccia finta che la Brexit non ci sia.
La partita è aperta. Ci sono molti imprevisti. Ma Ryanair, come easyJet e l’intero gruppo Iag, rischia davvero con l’attuazione della Brexit di diventare fuorilegge nella Ue. E allora Michael O’Leary dovrebbe dire addio ai sogni di gloria in Italia.