Si racconta che Francesco Starace nei mesi scorsi avesse coltivato l’ambizione di andare alla guida dell’Eni, con la scadenza dei vertici delle maggiori società pubbliche, al posto di Claudio Descalzi.
L’ipotesi è stata sempre smentita dall’Enel. Alla fine l’ingegnere romano è stato confermato nell’incarico di amministratore delegato e direttore generale della società elettrica, e non solo: adesso l’Enel vuole impegnarsi anche nelle telecomunicazioni, con la posa di cavi in fibra ottica per rimediare ai ritardi storici di Telecom Italia negli investimenti che rendono l’Italia uno dei fanalini di coda in Europa nella banda larga.
Un piano controverso (e dal dubbio ritorno economico per l’investimento) che ha creato forti contrasti con Telecom Italia, guidata da un manager dal carattere difficile come Flavio Cattaneo, approdato per la prima volta a Roma nel 2003 come direttore generale della Rai, durante il governo Berlusconi. In origine Cattaneo era amico di Paolo Berlusconi e Ignazio La Russa, ma a quanto pare poi sarebbe stato digerito anche da ambienti del centro-sinistra, complice anche la lunga relazione e poi il matrimonio con l’attrice Sabrina Ferilli.
Starace è stato il primo (e l’unico) grande manager ad aderire alla spinta dell’ex premier Matteo Renzi verso la fibra ottica. Questo, oltre alle sue capacità di gestione, gli è valso un grande sostegno politico nel rinnovo del mandato, ad opera del governo di Paolo Gentiloni, un rinnovo mai messo in discussione. Solo una nevicata in Abruzzo che aveva creato grandi difficoltà alle popolazioni per i black out elettrici per qualche giorno aveva rannuvolato l’orizzonte di Starace. Ma la nevicata non si è ripetuta e, scioltasi la neve, si sono dissolte anche le critiche a Starace.
All’Eni, invece, Descalzi è indebolito da almeno due fatti: una richiesta di rinvio a giudizio nell’inchiesta della Procura di Milano per concorso in corruzione internazionale per una presunta maxi-tangente che sarebbe stata pagata per l’acquisto di un giacimento di petrolio in Nigeria (il principale indagato è l’ex a.d. dell’Eni, Paolo Scaroni, Descalzi nega ogni accusa), il calo del prezzo del petrolio che ha fatto crollare il valore in Borsa delle azioni dell’Eni. A questo si aggiunge che Descalzi, considerato un valido tecnico del petrolio, per anni docile numero due dell’Eni quando il capo era il navigato Scaroni, anche una volta diventato amministratore delegato (e anche lui direttore generale) non ha mai dato all’esterno la sensazione di essere un vero leader, un numero uno.
Che lo volesse o no, Starace all’Eni non è andato. Niente poltrona insomma nella prima società italiana per capitalizzazione di Borsa.
Adesso però Starace, senza cambiare poltrona, si trova comunque a capo della prima società italiana per valore di Borsa. Un miracolo? Lo deve semplicemente all’andamento delle azioni in Borsa.
Il nuovo ribasso del prezzo del petrolio in questi giorni ha messo ko le azioni dell’Eni, che ieri hanno perso il 2% a 13,63 euro. Questo ha portato il valore di tutto l’Eni (moltiplicando il prezzo di un’azione per il numero delle azioni che compongono il capitale sociale) a 49 miliardi 553 milioni di euro.
Le azioni dell’Enel, invece, da diverse settimane sono in rialzo e sfiorano i 5 euro: era l’obiettivo che Starace aveva previsto, sbagliando, di poter raggiungere alla fine del 2014, cioè due anni e mezzo fa. Ieri le azioni Enel hanno perso lo 0,81% a 4,89 euro. Moltiplicate questa cifra per il numero di azioni del capitale dell’Enel e otterrete un valore di 49 miliardi e 735 milioni. Risultato: l’Enel ha superato l’Eni ed è la prima società italiana per capitalizzazione di Borsa. Certo, molto distante dal record della capitalizzazione dell’Eni che, quando il petrolio era caro, aveva raggiunto i 100 miliardi di capitalizzazione. Ma quanto basta, adesso, per essere sul gradino più alto del podio.
Un sorpasso, potremmo dire, avvenuto in retromarcia. Ma per Starace, che ha la passione della bicicletta, vale pur sempre il primato, almeno per ora, del valore in Borsa.
Chissà che questo non lo consoli dai problemi legati agli investimenti per la banda larga e dalle difficoltà della società dedicata all’iniziativa, Open Fiber, metà dell’Enel e metà della Cassa depositi e prestiti, che ancora non ha convinto le banche a finanziare l’oneroso progetto di cablatura dell’Italia.