Il rialzo dei tassi d’interesse riporta l’attenzione sul rating, il giudizio sulla solvibilità dei debitori. E se si tratta di grandi debitori, come lo Stato italiano, il rating diventa più importante, perché basta un piccolo peggioramento (o miglioramento) del voto per far spendere (o risparmiare) più soldi per gli interessi passivi. Tre grandi società dominano il mercato mondiale del rating, le americane Standard & Poor’s e Moody’s, più l’angloamericana Fitch. Si è parlato a lungo dei conflitti d’interesse delle “tre sorelle” per i legami con banche e poteri della finanza, è meno noto che la loro attività si svolge a pagamento.
Cioè, chi vuole essere giudicato, deve pagare il servizio alla società di rating. E questo in pratica è un obbligo per poter emettere obbligazioni, perché senza rating non si viene presi in considerazione dagli investitori. Quanto costa il rating? Uno dei pochi dati ufficiali rintracciabili riguarda la Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), la società-cassaforte controllata per 1’82,77% dal ministero dell’Economia. <<Il legame con lo Stato italiano [ … ) ha portato le agenzie di rating ad assegnare a Cdp lo stesso rating della Repubblica Italiana», si legge sul sito della
società guidata da Claudio Costamagna (presidente) e Fabio Gallia (amministratore delegato).
L’anno scorso, Cdp ha affidato i servizi di rating alle “tre sorelle” con una “procedura negoziata”. Cioè, senza un bando di gara pubblico, ma una contrattazione diretta con ciascuna agenzia. Fitch si è aggiudicata l’attività di rating al prezzo di 1.025.000 euro per tre anni, Standard & Poor’s per 909.375 euro per 24 mesi, Moody’s per 861.ooo euro per 15 mesi. Oltre all’Iva. In conclusione, Fitch
costa alla Cdp 28.472 euro al mese, Standard & Poor’s 37.890, la più cara è Moody’s: 57.400 euro al mese.